La pratica del jogging si sta diffondendo sempre di più. Il ruolo protettivo che una regolare attività fisica può svolgere nei confronti del rischio cardiovascolare è stato ampiamente documentato.
Resta argomento di dibattito quali siano la quantità e il tipo di attività in grado di offrire il migliore risultato.
Questo argomento è di grande attualità e importanza poiché la sensazione di benessere soggettivo, che la regolare pratica del jogging offre, stimola molti praticanti ad intensificare progressivamente i propri carichi di lavoro, sino a considerare possibile la partecipazione ad una maratona.
Ma se correre tre, quattro volte alla settimana, per un totale di 40-50 km, è sicuramente benefico per l’apparato circolatorio, lo è altrettanto correre una maratona ?
E’ stato ampiamente dimostrato, in soggetti che avevano ultimato una maratona, un significativo innalzamento degli enzimi indicativi di necrosi miocardica. Rimane per altro aperto il dibattito sul significato clinico di questa osservazione.
D’altra parte si è anche però documentato come il livello di sofferenza miocardica registrato alla fine di una maratona sia inversamente proporzionale alla entità della preparazione dei soggetti valutati.
Quindi si potrebbe affermare che i rischi di danno cardiaco che comporta correre una maratona sono legati al livello di allenamento del soggetto che la affronta. E’ quindi estremamente sconsigliabile correre una maratona senza una preparazione specifica, adeguatamente prolungata.
Ma per tutti i soggetti ben allenati la maratona comporta rischi cardiovascolari limitati ?
Nuovi elementi su questo argomento sono stati forniti da un recente studio, comparso sullo European Heart Journal ( 2008; 29:1903-1910 ), che ha valutato un gruppo di 180 maschi, di età superiore ai 50 anni, maratoneti amatoriali, che avevano disputato almeno 5 maratone negli ultimi tre anni. Si trattava di soggetti sani, in particolare senza evidenza di cardiopatia e diabete.
Il loro profilo di rischio cardiovascolare è stato confrontato con quello di 4800 soggetti valutati in uno studio epidemiologico cardiovascolare effettuato nella area della Ruhr, il Recall Study.
Uno degli aspetti più interessanti dello studio è stata la valutazione della presenza di aterosclerosi subclinica mediante la determinazione del calcio coronarico, un parametro di rischio cardiovascolare che si è rivelato molto accurato.
I maratoneti hanno mostrato un profilo di rischio cardiovascolare più favorevole rispetto ai loro pari età valutati nel Recall Study, con una quantità di calcio coronarico inferiore.
D’altra parte però, nel 5% dei maratoneti, una risonanza magnetica con gadolinio ha mostrato la presenza di alterazioni cardiache attribuibili alla presenza di cicatrici di origine ischemica.
E ancora, dal confronto dei maratoneti con quei soggetti di pari età del Recall Study che mostravano un uguale profilo di rischio cardiovascolare, è emerso come questi ultimi presentassero sorprendentemente una minore quantità di calcio coronarico.
Un altro dato inquietante è che, nel corso del follow up, durato 21 mesi, quattro maratoneti hanno presentato un evento cardiaco maggiore, che in due casi si è manifestato come morte improvvisa. Pur in presenza di profilo di rischio cardiovascolare complessivamente basso, tutti e quattro questi soggetti avevano uno score di calcio coronarico maggiore di 100.
E ancora si è documentato come il numero di maratone disputate, ma non l’intensità dei programmi di allenamento, sia risultato correlato ad un incremento della quantità di calcio coronarico.
La prima, sommaria conclusione che si può trarre da questa analisi è che correre agisce favorevolmente sul rischio cardiovascolare, mentre disputare una maratona no.
E’ verosimile che disputare una competizione lunga e a elevatissimo dispendio di energie possa determinare danni cardiaci, soprattutto in soggetti con pregressa disfunzione endoteliale e aterosclerosi coronarica.
A questo proposito è bene sottolineare che essere un maratoneta, di età superiore a 50 anni, non significa necessariamente non correre il rischio di incorrere in un evento coronarico maggiore. In questa categoria di persone possono comunque essere compresi soggetti che, nel corso della loro vita, hanno sviluppato un quadro di aterosclerosi coronarica subclinica, che si può rendere evidente proprio in seguito alla fatica e allo stress di una maratona.
La valutazione del calcio coronarico permetterebbe di identificare questi soggetti, ai quali va sconsigliata la pratica della maratona.
In conclusione correre fa sicuramente molto bene al nostro profilo di rischio cardiovascolare. Correre una maratona è invece una condizione ad elevato stress per il cuore, consigliabile solo a quei soggetti nei quali sia stato possibile escludere la presenza di una aortosclerosi subclinica. ( Xagena2009 )
Flavio Doni , Responsabile Unità Operativa Cardiologia e Ucic, Policlinico San Pietro, Ponte San Pietro ( BG )