L’ipertensione arteriosa viene arbitrariamente definita come resistente o refrattaria quando non vengono raggiunti gli obiettivi pressori raccomandati ( pressione arteriosa clinica minore di 140/90 mmHg oppure minore di 130/80 mmHg in pazienti con diabete mellito di tipo 2 ) in presenza di una strategia terapeutica che includa modificazioni dello stile di vita e l’assunzione di almeno tre classi di farmaci antipertensivi, tra cui un diuretico, a dosi adeguate.
Questa definizione di ipertensione resistente prevede il raggiungimento di obiettivi pressori, indipendentemente dal profilo di rischio cardiovascolare e dalla strategia terapeutica impiegata ( classi di farmaci o tipologia di associazioni farmacologiche ). Essa prescinde, dunque, dalla descrizione clinica di resistenza al trattamento, ossia dalla percezione di resistenza al trattamento riscontrata dal medico curante nel raggiungere un efficace controllo della pressione arteriosa.
Studi clinici hanno dimostrato, in realtà, come la percentuale di pazienti con ipertensione resistente vera rappresentino una relativa minoranza, soprattutto nella popolazione generale di pazienti con ipertensione arteriosa essenziale, ma anche in popolazioni selezionate come quelle riferite ai Centri di eccellenza per la diagnosi e la cura dell’ipertensione arteriosa.
E’ comune nella pratica clinica l’impiego di dosaggi non-adeguati di farmaci diuretici ( ad es. Idroclorotiazide 12.5 mg/die ), ovvero l’impiego di un diuretico simil-tiazidico ad emivita di eliminazione più lunga ( ad es. Clortalidone 25 mg/die ) somministrato in associazioni precostituite o in formulazioni libere. Tale dosaggio risulta del tutto inadeguato a raggiungere e mantenere un efficace controllo dei valori pressori in pazienti con filtrato glomerulare stimato inferiore a 30 ml/min ed in altre categorie di pazienti ad elevato rischio cardiovascolare, come ad esempio i soggetti anziani o i pazienti affetti da diabete mellito. La corretta titolazione del farmaco diuretico a dosaggio adeguato ( ad es. Idroclorotiazide 25 mg/die ) rappresenta, dunque, un requisito indispensabile e necessario per migliorare il controllo della pressione arteriosa in generale ed identificare correttamente i pazienti con ipertensione arteriosa resistente.
Studi clinici recenti hanno dimostrato, peraltro, come l’impiego di farmaci antialdosteronici, in aggiunta a una strategia antipertensiva basata su farmaci bloccanti del sistema renina-angiotensina, calcioantagonisti e diuretici, possa consentire di ridurre considerevolmente i valori pressori, sia sistolici che diastolici, in pazienti con ipertensione arteriosa di grado moderato-grave.
Indipendentemente dal contesto clinico, è opportuno escludere tutte le possibili cause di pseudo-resistenza al trattamento, ossia quelle condizioni che, una volta rimosse, consentono di ottenere la normalizzazione dei valori pressori.
Possibili cause di pseudo-resistenza al trattamento farmacologico antipertensivo - Fattori correlati al medico: misurazione non-appropriata della pressione arteriosa, uso inappropriato di farmaci antipertensivi, dosaggi inadeguati, strategie di combinazione non-idonee o controindicate ( ad es. Ace inibitori ed antagonisti recettoriali della angiotensina ), inerzia clinica ( mancata modifica o aumento della terapia, quando necessario ), scarsa o non-adeguata comunicazione medico-paziente, schemi terapeutici o schemi di dosaggio complicati ( soprattutto in presenza di molteplici terapie concomitanti ) - Fattori correlati al paziente: effetto camice bianco, effetti indesiderati correlati ai farmaci e conseguente autosospensione o interruzione temporanea della terapia prescritta, bassa motivazione e conseguente riduzione dell’aderenza al trattamento, scarsa o non-adeguata comunicazione medico-paziente, dieta non-equilibrata ( ipersodica, ipercalorica ), uso concomitante di contraccettivi orali, uso concomitante di FANS, corticosteroidi, immunosoppressori o simpaticomimetici, consumo eccessivo ( abuso ) di alcol, uso di sostanze illecite ( Cocaina, metanfetamine e/o derivati ), problemi di memoria, malattie psichiatriche o disordini cognitivi ( soggetti anziani ), costo dei farmaci ( in alcuni sistemi sanitari nazionali ) - Altri fattori: a) fattori modificabili: ipertensione arteriosa secondaria non-diagnosticata ( in particolare, iperaldosteronismo primario ), ipertensione arteriosa nefrovascolare, sindrome delle apnee ostruttive notturne – b) fattori non-modificabili: malattia renale cronica, malattia vascolare di grado severo ( soggetti anziani o diabetici ) [ Nei soggetti anziani la presenza di aterosclerosi e di calcificazioni a livello della tonaca intima-media può contribuire a determinare una difficoltà oggettiva a comprimere la parete arteriosa dall’esterno ( mediante manicotto ) e quindi ad ottenere una pressione tale da occludere completamente il vaso; questo può contribuire a determinare degli errori nella misurazione della pressione arteriosa sistolica, che può risultare aumentata in modo abnorme.
Inoltre, è opportuno escludere tutte le possibili cause di ipertensione arteriosa secondaria, che vanno ricercate sistematicamente e trattate in modo specifico prima di considerare la possibilità di altri approcci terapeutici non-farmacologici, come la denervazione renale.
Una volta esclusa la presenza di una pseudo-resistenza al trattamento farmacologico prescritto o di una forma secondaria di ipertensione arteriosa, e confermata la diagnosi di ipertensione arteriosa resistente, è opportuno considerare l’impiego di strategie terapeutiche razionali, semplici, a dosaggio pieno e ben tollerate, che riducano il rischio di effetti collaterali e consentano di ridurre i valori pressori entro determinati limiti.
Tali strategie farmacologiche integrate devono essere sempre valutate prima dell’indicazione all’esecuzione della procedura di denervazione delle arterie renali.
Tali strategie dovrebbero comprendere in primo luogo l’ottenimento delle necessarie modifiche dello stile di vita, tra cui l’astensione dal fumo, la pratica regolare di attività fisica aerobica ed una dieta equilibrata, caratterizzata da un ridotto consumo di cibi contenenti sodio e grassi saturi ed un aumento dei cibi ricchi di potassio.
In secondo luogo, dovrebbe essere implementato l’uso di terapie di combinazione, basate su farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina-aldosterone ( inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina [ Ace inibitori ], antagonisti recettoriali dell’angiotensina [ sartani ], inibitori diretti della renina ed antialdosteronici ), farmaci ad azione vasodilatatrice ( calcioantagonisti diidropiridinici ), farmaci ad azione diuretica ( tiazidici, Indapamide e dell’ansa ) ed eventualmente farmaci beta-bloccanti.
La titolazione di queste classi di farmaci, utilizzati in strategie di associazione razionali ed integrate, anche a dosaggi elevati, potrebbe consentire di raggiungere gli obiettivi pressori raccomandati in una proporzione rilevante di pazienti con ipertensione arteriosa resistente.
Qualora i valori pressori persistano elevati in presenza di una tale strategia di combinazione, è possibile definire la presenza di una vera ipertensione resistente.
La resistenza alla terapia antipertensiva è nella maggior parte dei casi un fenomeno a genesi multifattoriale, che tuttavia presenta alcune caratteristiche cliniche comuni. Tra queste ci sono: età avanzata, fumo, obesità, sesso femminile razza nera, oltre alla presenza di aterosclerosi, diabete mellito, patologia renale cronica. Nei pazienti con ipertensione resistente è, inoltre, più frequente il riscontro di danno d’organo.
Secondo studi clinici recenti, una proporzione variabile ( pari a circa il 5-15% ) della popolazione generale di pazienti con ipertensione arteriosa in trattamento, che afferiscono ai Centri di Eccellenza per la diagnosi e la cura dell’ipertensione arteriosa, può essere considerata affetta da ipertensione arteriosa resistente. Per questi pazienti, oltre l’impiego di strategie farmacologiche di associazione integrate e razionali, è stata recentemente proposta la procedura di denervazione delle arterie renali mediante elettrocatetere a radiofrequenza. Tale procedura va intesa come un’opzione terapeutica volta ad ottenere una riduzione non-farmacologica dei valori pressori clinici ed ambulatoriali in pazienti effettivamente non-responsivi al trattamento farmacologico, malgrado una accertata osservanza delle prescrizioni. ( Xagena2012 )
Fonte: Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa, 2012
Cardio2012